DOTTORESSA NATURA

La Natura offre un’esperienza multisensoriale: stimola il cervello, favorisce le emozioni positive, potenzia la memoria e promuove la creatività. Oltre a combattere lo stress e ad avere effetti benefici sulla salute mentale. E non solo. Tanto che oggi si parla sempre più spesso di Nature Based Therapy. Un esempio? I dati che emergono da una ricerca interdisciplinare, che coinvolge specialisti diversi, avviata dal laboratorio di Neuroscienze ambientali dell’Università di Chicago, rivelano che anche una breve interazione con un ambiente naturale può migliorare memoria e attenzione del 20%.

Anche in Italia i ricercatori stanno cominciando a interessarsi a questi temi, come spiega Valeria Vitale, ricercatrice presso il dipartimento di Psicologia sociale dell’Università di Roma la Sapienza: “Sappiamo che il processo di urbanizzazione comporta una serie di rischi per la salute psicologica e fisica – dice -. Pensiamo all’inquinamento, atmosferico e anche sonoro, all’irritabilità legata all’affollamento, all’urbanizzazione che limita gli spazi naturali e compromette la coerenza visiva dell’ambiente con edifici sempre più alti”.

Tanto che si sta affermando il cosiddetto Biophilic Design, con l’obiettivo di inserire elementi naturali negli edifici urbani e nei luoghi di cura. E nascono percorsi transdisciplinari come l’Ecopsicologia, dedicata alla connessione tra la salute degli individui e quella dell’ecosistema. In sostanza, i risultati confermano gli effetti benefici della Natura su bambini e ragazzi. Effetti a volte legati ad ambienti specifici, come i boschi, ma anche gli specchi d’acqua, importanti sul piano estetico, simbolico ma anche evolutivo.

(Dall’inserto “Salute” di Repubblica del 26 gennaio 2023. Testo di Paola Emilia Cicerone.

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I FIORI IN LIGURIA

C’erano fiori giorno e notte, per ogni occasione del giorno e della notte. Di giorno spesso venivano usati come omaggi floreali e spesso anche portati in piazza del Ferrari a Genova per ringraziamento di un dono ricevuto o per farsi perdonare un peccato o semplicemente per abbellire la piazza. Di  notte per i balli , per i misteriosi appuntamenti usati  come separè dei caffè alla moda o per i palchi dorati dei teatri. I fiori venivano raccolti in mazzi compatti, li costruivano attorno ad un manico di scopa tenuto in grembo. Girando lentamente il bastone  via via si legavano fiori di qualità e di colore diverso quasi a comporre un tappeto, poi attorno un pizzo e le carnose foglie di nespolo che facevano da supporto, Si levava il bastone, si legavano i gambi ed il mazzo era pronto per far arrossire di gioia o di vergogna qualche timida fanciulla. La coltivazione dei fiori a Genova e in Liguria, c’e sempre stata,  fiori sono nati con l’uomo e forse prima dell’uomo. Ci sono libri del 400 che parlano di invio di rose, di garofani, per esempio ad un matrimonio principesco a Mantova. Le località dove si coltivavano e si raccoglievano era Quarto, la lunga dolce collina distesa sul mare. Ma l’industria è nata quando l’uomo ha imparato a dominare le leggi della natura ed a costruire fiori diversi, scegliendo forma, colore, momento della fioritura. C’è stato un tempo a fine 800 che da Genova partivano camelie per tutta Europa, persino a Mosca. Fiori recisi senza gambo, chiusi raccolti in scatolette di cartone, viaggiavano come sigari a portar gioia alle signore. Intanto a Nizza il poeta francese Karr, un giorno per far cosa bizzarra fa un mazzo di rose e le manda in diligenza a Parigi ad una sua amica, Le rose arrivano bene, sono bell, piacciono. Tutte le amiche chiedono fiori; i primi partono in omaggio e poi si incomincia a venderli. E così nasce a Ponente la grande industria del fiore reciso. Lo stesso Karr un giorno, va dal Santinetto, un agricoltore di Ospedaletti, e gli propone di mettere nelle sue fasce piante di rose, in Paese cominciarono a prenderlo in giro: “O Santinetto o cianta e reuse! . O Santinetto o cianta e reuse !- 

  • “Ma come faccio a piantarle, mi pigliano in giro?” –
  • – “Tu piantale, ci penso io. Quando ci sono i fiori vengo io e me li proto in Francia, Faccio tutto io”.
  • E così è stato. Sono venute le piante, sono venuti i fiori, è venuto Karr a prendere i fiori ed alla fine dell’annata ha dato al Santinetto cento lire. Un biglietto da cento!. Da quelle parti, a quei tempi non ne avevano mai visto. Quel biglietto a fatto il giro del paese. L’anno dopo erano  tutte rose.
  • Se la rosa è la regina della floricultura, il garofano è il re. La coltura è nata con il perfezionamento del garofano rifiorente “Remontan” realizzato nel 1832 a Lione da Dalmè. Fiore ricco, pieno, ma soprattutto forte di gambo e forte di petali che durino brillanti in una casa. Questi garofani hanno trovato il buon terreno, sempre nella spinta del Karr, a Sanremo, dove con ibridazioni pazienti e costanti si è fatto del garofano una industria nazionale, Ti dico una cosa, e vale per tutti i fiori, i coltivatori per avere i fori pronti quando occorre, per esempio a Santi, a Natale, devono opportunamente studiare le potature, Se tu poti a settembre hai fiori a novembre, se tu poti a mezzo settembre hai fiori a Natale, e cosi via. Il tempo di fioritura è dominato dalla potatura.

Mentre a ponente prendeva consistenza la cogitazione del fiore reciso, a Genova e a Nervi nei parchi delle grandi ville signorili, si facevano le prime scoperte sulle piante e sui fiori esotici. A ponente arrivavano i fiori della Francia, a Genova arrivavano via mare dalla Cina, dal Giappone, dall’Africa, e si facevano gli esperimenti. Un giorno un seme messo nella serra dei Pallavicini ha tirato fuori una pianta lunga tre metri con le foglie larghe e robuste che voleva ancora salire, ma la terra era massa, e il giardiniere l’ha portata di fuori. Ha fatto strani fiori e poi frutti dolcissimi, era il padre di tutte le piante di nespole del Giappone che ci sono in Italia e in Europa. Ma la scelta più importante è stata l’orchidea il fiore più affascinante della nostra terra dove nei prati ne trovi centinaia di qualità ma quelle che sono venute dall’ariente nelle sedi dei grandi parchi  nobiliari risultavano più grandi e  quindi più facili da mettere in mostra anche nelle case. Chiavari diventa la capitale delle orchidee. I due terzi della popolazione nazionale viene dalle nostre serre i nostri agricoltori sono all’avanguardia anche per le ibridazioni, hanno ibridi pregevoli registrati al Royal  Orticultural Society di Londra, una specie di banca dei brevetti. C’è chi ha detto i Liguri contadini vista mare, ma questo amore per i fiori è una cosa straordinaria. Qui da noi, e tu lo sai, la terra è poca, lavorarla è fatica, non puoi portare macchine, attrezzature moderne, ed ecco che l’uomo ha scelto il fiore, che non vuole forza fisica ma intelligenza, sagacità: ed ha fatto del fiore e della pianta una grande industria. E sai cosa aggiungo, che se si dovesse parlare di metempsicosi, è un discorso difficile de da grandi, cioè il rinnovare la propria presenza sull’ terra dopo la more, il Ligure, scoperto che il fiore vive una sua vita autonoma, le orchidee hanno già tutte un loro nome , lo sceglierebbero come termine finale d’un possessivo ritorno, Chi non può mangiarne di questa terra,  ne vuol diventarne parte, ne vuol essere seme, per diventare il fiore più bello da ricevere sguardi desiosi e carezze di sole. Quindi quanto tu passi e vedi queste grandi serre coperte di vetri, a volte i vetri sono bianchi di calce perché il sole non passi troppo violento, guardale con attenzione, là sotto la natura compone i suoi disegni più belli, usando colori che poi l’uomo si ingegna a copiare. Ciao.

Tratto dal libro : La LIGURIA IN UN LIBRO  – biblioteca delle regioni 2/84 .

L’ALBERO  DELLA VITA DEL BAHREIN

L’albero della vita del Bahrein (Shajarat al-.Hayat) è un albero solitario.

Il Bahrein è un minuscolo arcipelago del Golfo Persico, posto fra l’Arabia Saudita e la penisola del Qatar. Questo antico albero, uno dei più misteriosi ed affascinanti conosciuti, alto circa 10 metri, cresce maestosamente su una collina sabbiosa, completamente isolato nel mezzo della zona desertica dell’isola principale del Bahrein. Nonostante questa pianta sia conosciuta da secoli e moltissime siano le leggende che la riguardano, dal punto di vista scientifico si sa pochissimo. I fatti non sono molti. L’albero, il cui nome deriva dalla credenza popolare che si tratti dell’originale albero della vita raccontato nella Genesi – da non confondere con il molto più famoso e gravido di conseguenze per l’umanità  albero della conoscenza del bene e del male – si trova descritto come appartenente a molte specie differenti. Purtroppo non essendoci alcuna pubblicazione scientifica dedicata, le conoscenze su questa pianta che avrebbe, al contrario, tantissimo da insegnare sono poche e spesso confuse.

Fino a non tanto tempo fa, qualunque ricerca si tentasse sull’albero del Bahrein si finiva prima o poi per inceppare in una fantomatica ricerca effettuata in collaborazione con lo Smithsonian, che riportava per questa pianta un’età di circa 500 anni. Non riuscendo a trovare alcuna prova certa riguardante una qualunque pubblicazione dello smithsonian a proposito di questo albero, qualche mese fa mi sono deciso a chiedere lumi direttamente al museo. Sena fortuna. L’impiegata cui mi sono rivolto mi ha gentilmente risposto che non era riuscita a trovare alcuna citazione dell’albero fra le  ricerche effettuate dal museo. Una situazione incerta, quindi e senza fonti sicure cui fare riferimento se non quelle fornite dal governo stesso del Bahrein, in quale, intuito il potenziale, soprattutto turistico, che quest’albero poteva avere, anni fa inizio una affidabile serie di analisi. I risultati di questi studi sono affascinanti quanto le leggende che circondano l’albero. Primo l’età: l’albero sembrerebbe sopravvivere in pieno deserto dalla metà del Cinquecento, il che ne farebbe di gran lunga il decano di tutti gli alberi solitari del mondo e, quindi, quello che meglio è riuscito ad adattarsi alle avverse condizioni del suo ambiente. Secondo , la specie: oggi sappiamo con certezza che l’albero della vita del Bahrein è una Prosopis juliflora, un albero originario del Messico e del Sudamerica, tipico di aree calde, secche e salate dove poche altre specie sono in grado di sopravvivere. Grazie alla sua radice fittonante che può raggiungere profondità incredibili, alle foglioline piccole e composte che permettono di dissipare molto efficacemente il calore in eccesso e di limitare la perdita d’acqua, alla capacità di fissare azoto in virtù della simbiosi che intrattiene con batteri azoto fissatori, e infine grazie alla sua intrinseca capacità di resistere al acqua con alte concentrazioni saline  la sola acqua che eventualmente le sue radici possono trovare ad alta profondità nel suolo del deserto – questo albero è costruito per sopravvivere nelle condizioni più difficili immaginabili per una pianta.

Non basta. Neanche un fuoriclasse dei climi estremi come la Prosopis potrebbe sopravvivere in pieno deserto per cinque secoli senza mettere in atto qualche altro trucco. Nel 2010, il governo del Bahrein iniziò un a campagna di scavi archeologici nella zona immediatamente prospiciente l’albero della vita scoprendo i resti di un villaggio attivo probabilmente fino alla metà del XVIII secolo, provvisto  di un pozzo molti vicino alla sede dell’albero. Questo significava che era stato piantato appositamente lì e che nei secoli, anche dopo il definitivo abbandono del villaggio, era riuscito a seguire con le sue radici profonde la falda. Ecco spiegato da dove proveniva l’acqua che ne permetteva la sopravvivenza.

Rimaneva un ultimo piccolo ma affascinante mistero: come aveva fatto una specie originaria delle Americhe ad arrivare nel  bel mezzo del deserto del Bahrein, dall’altra parte del mondo, soltanto poche decine d’anni dopo la scoperta del continente americano? La via più probabile sembra essere attraverso i portoghesi che conquistarono le isole nel 1521 e vi rimasero fino al 1602, anno in cui l’arcipelago divenne un dominio della Persia. Durante questi anni di dominazione portoghese, delle piante di Prosopis juliflora dovettero arrivare li grazie all’intuizione di qualche botanico  portoghese che ne intuì la possibilità di adattamento in quegli ambienti simili a quelli originari. Di quel nucleo di piante l’albero della vita è l’unico sopravvissuto. Qualunque siano state le peripezie che hanno portato l’albero della vita fino al Bahrein, rimane la straordinaria impresa di questa singola pianta che dalle lontane Americhe è riuscita a svilupparsi e  prosperare conservandosi per mezzo millennio in un ambiente ostile, emblema vivente della capacità di adattamento delle piante e della loro abilità nel risolvere brillantemente anche i problemi più ardui legati alla sopravvivenza.

tratto dal libro: L’incredibile viaggio delle piante di Stefano Mancuso editori Laterza prima edizione 2018

Oggi

Secondo le credenze popolari, l’albero è stato piantato qui nel 1583 per indicare il luogo in cui in origine sorgeva il Paradiso Terrestre. Proprio da questa terra sarebbe prosperato fino ai giorni d’oggi, con tutta la simbologia e il misero che lo avvolgono.

Lo spettacolo che si apre ai migliaia di turisti che giungono fin qui ogni anno, è molto suggestivo e quasi mistico. Oggi un recinto in ferro ne circonda la base, impedendo così ai visitatori di avvicinarsi troppo. Tuttavia, vista la grande estensione dei rami è ancora possibile sedersi sotto la sua ombra e godere della sua frescura.

Il Presepe sulla collina delle Cinque Terre

“Era il 1961 quando mio padre, in punto di morte, mi chiese di ripristinare una croce che sorgeva in cima al colle di famiglia. Sistemata la croce, ho avuto l’idea di illuminarla con una batteria per auto. Poi non mi sono più fermato”.

Queste sono le prime  parole di Mario Andreoli che diceva durante le mille interviste.

Mario per allestire la collina era partito da semplici elementi poi sono arrivate la capanna e la stella. Nel tempo ha saputo inventare decine e decine di personaggi, restando ancorato alla realtà. Nel suo presepe sono presenti sempre richiami a tante fasi storiche: le scritte pax e pace in un mondo sempre in guerra, il ricordo della strage per il crollo del Ponte Morandi di Genova, gli anni del Covid con una figura dedicata all’impegno del personale sanitario e anche le figure classiche del presepe di Giuseppe, Maria, Gesù, l’asinello, il bue, le pecorelle,  i pastori ma anche le barche e i pesci a simboleggiare con le immagini quello che è Manarola: la sua terra.

Tutte le figure che si possono osservare,  ogni sera dopo il tramonto a partire  dal giorno 8 dicembre di ogni anno fino  alla fine di gennaio,   sono realizzate con materiali di scarto nel rispetto dell’ambiente. L’allestimento è cresciuto sempre di più e nel 2007 vinse il Guinnes dei primati perché ritenuto il presepe più grande del mondo. Nel tempo per aiutarlo molti compaesani e amici lo hanno sostenuto costituendosi nell’Associazione Presepe di Manarola Mario Andreoli. Il giorno 8 dicembre però non ci sono solo le figurine statiche ma il presepe diventa anche vivente con i bambini, che coadiuvati dal Cai percorrono parte della collina con le loro fiaccole accese e regalano un momento di  inestimabile valore a chi ha la fortuna di poter presenziare all’accensione. Moltissimi sono i turisti che vogliono unirsi alla forte emozione che questo evento provoca in Mario e in tutti i suoi amici e compaesani.  I suoi amici  si sentivano onorati di stare al suo fianco e sempre  volenterosi di immagazzinare nel loro animo il suo spirito e la sua passione.  Quando tutti i turisti correvano in stazione per prendere il treno o rientrare verso le proprie case con auto o bus la festa non finiva anzi Mario insieme ai compaesani continuavano la tradizione in cantina assaporando il vino prodotto con tanto sacrificio in quelle colline  aride e scoscese


Purtroppo Mario è deceduto il 22 dicembre 2022 all’età di 94 anni , Mario sarà sempre ricordato come un ferroviere ma soprattutto come inventore dello storico presepe luminoso  e da questo giorno in avanti  mantenere questa  bellissima tradizione spetterà agli amici più fidati di Mario Andreoli.

La ricetta Ligure per un pranzo di Natale come da tradizione

Della pasta ligure quasi tutti conoscono i pansoti ripieni di ricotta e spinaci e le troffie condite con il pesto. Oggi invece vi svelo una ricetta  poco conosciuta anche perché gustata solo la sera della Vigilia o durante il pranzo di natale.

NATALINI IN BRODO

I Natalini sono una pasta tipica  regionale (assomigliano a lunghissime penne lisce)  che viene venduta solo nel periodo delle feste  

Come da  tradizione essi  non vanno assolutamente spezzati prima di essere cotti nel brodo che originariamente è quello di cappone ma che si trova anche nella variante con polpettine di carne di manzo e pezzetti di salsiccia. Il piatto è considerato un portafortuna: i bocconi di carne simboleggiano le palanche, ovvero ricchezza e anche se semplice non è da considerarsi un piatto povero poiché in passato non tutti potevano permettersi il cappone.

le carni utilizzate per il brodo possono essere usate per preparare il ripieno dei ravioli che si mangiano il giorno di Santo Stefano.

 Ingredienti:

  • 300 grammi di natalini
  • 200 grammi di trippa cotta
  • 100 grammi di salsiccia
  • 2 coste di sedano
  • 1 litro e mezzo brodo (in genere di cappone, o pollo)
  • Grana grattugiato a piacere

Procedimento per la preparazione del brodo

Come sempre quando si cucina il brodo, armatevi di tanta pazienza. La cottura deve essere lenta e lunga. Poi il brodo va filtrato per bene con l’aiuto di un panno da cucina di cotone e se serve, va anche sgrassato. Il brodo del cappone infatti, tende ad essere piuttosto grasso. Se preparate il brodo con un giorno di anticipo, prima di cucinare i natalini  potete farlo ulteriormente bollire ed eliminare le parti grasse che man mano saliranno in superficie.

  • Procedimento per la cottura dei natalini
  • Iniziamo tagliando le trippe a listarelle sottili, poi spelliamo la salsiccia e produciamo delle piccole palline. Tagliamo poi a bastoncini il sedano.
  • Mettiamo il brodo sul fuoco e facciamo lessare trippa e sedano insieme. Dopo 10 minuti aggiungiamo i natalini, e dopo altri 10 le palline di salsiccia.
  • Dopo la cottura, serviamo il tutto ben cosparso di grana. Devono essere tassativamente serviti ben caldi.
  • Esiste anche una variante che prevede la farcitura dei natalini (prima della cottura) con la pasta di salsiccia: per compiere l’operazione, c’è chi si aiuta con una sorta di grande siringa.

Essendo i paesini della liguria divisi fra loro da una miriade di colline, collinette e montagne ogni frazione ha la sua ricetta che ritiene originale . Esistono anche ricette dove i natalini vengono farciti con verdure o erbe di campo invernali amalgamate con uova, pangrattato e grana.

La ricetta della mia nonna è simile ma ve la posso svelare solo davanti al piatto pronto in occasione del prossimo Natale insieme.  

A LAVAGNA SONO DI NUOVO “CAVOLI NOSTRI”

VI ASPETTO sabato 3 dicembre per una escursione sulle alture di Lavagna e sulla piana del fiume Entella che ci permetterà di scoprire non solo sentieri e piste ciclabili ma anche i prodotti tipici del territorio. Dopo la camminata infatti ci fermeremo alla manifestazione “cavoli nostri” ad assistere a uno dei suoi tanti eventi a programma

Lavagna è famosa sin dal medioevo per le sue terre coltivate, caratterizzate da una cultura promiscua di produzioni orticole, di ulivi e di vite. Anche quest’anno, il comune di Lavagna, unico in Liguria, è stato insignito della Spiga Verde, il riconoscimento promosso da Foundation for Environmental Education e da Confagricoltura per quelle realtà che riescono a coniugare sul territorio il rispetto dell’ambiente con la crescita della ricchezza economica e sociale delle comunità che vi risiedono. Il corretto uso del suolo, la presenza di produzioni agricole tipiche, la qualità dell’offerta turistica e la valorizzazione delle aree naturalistiche, costituiscono le ragioni del titolo, sempre molto ambito. Ed infatti, nascosto tra via Fieschi e il lungo Entella, si estende un grande polmone verde che accoglie produzioni orticole di grande rilevanza per il valore storico, oltre che commerciale dovuto all’elevata qualità. Accanto a produzioni tipiche liguri come la melanzanina tonda, negli orti di Lavagna si coltivano cultivar esclusive della zona come il cavolo Gaggetta, il cavolo Broccolo Lavagnino, la radice di Chiavari, il pisello di Lavagna, che, anche se non hanno riconoscimenti ufficiali (solo la Camera di Commercio di Genova ha assegnato il marchio ‘Antichi Ortaggi del Tigullio’ a 5 varietà), mostrano un forte radicamento nel territorio, in quanto, ancora oggi, questi stessi orti servono anche da vivaio per tutta l’area del Tigullio.

La disposizione degli orti, la canalizzazione delle acque a scopo irriguo, ma anche di contenimento in caso di forti piogge e l’edilizia rurale sono oggi un patrimonio culturale

Due PASSI

Oggi i nostri passi erano fondati sull’incontro:

Il primo passo: incontrare il proprio spazio interiore:

Il paesaggio naturale, grazie al suo potenziale benefico a livello fisiologico e psicologico (azione antistress, azione rilassante e rigenerante, miglioramento dell’umore), è stato  lo spazio privilegiato in cui abbiamo potuto esplorare ed incontrare il nostro  “paesaggio interiore”, la nostra  “natura umana”. Abbiamo avuto  l’opportunità di riconnetterci con i diversi aspetti di noi, , degli altri e  della Natura stessa.

Il Respiro degli alberi interconnesso al nostro Respiro.

Cosa abbiamo visto in questo fungo?

Che sensazione hai provato nel vedere le foglie secche sugli alberi e quelle cadute a terra?

Il secondo passo: incontrare un pezzo di storia del nostro paese.

In un momento storico di grande cambiamento, come quello attuale, in cui tutto sembra andare nella direzione della globalizzazione e di conseguenza verso una  “disconnessione” da sé stessi e dalle nostre   tradizioni, credo sia importante entrare dentro un  nostro  laboratorio   artigiano come appunto quello del Damasco. Per provare emozioni e sensazioni che possano essere simili a quelle provate alle nostre origini o comunque nel passato. .

È grazie alla memoria che può quindi esistere la stessa tradizione e di conseguenza tanta varietà di cibi, costumi, danze e altri elementi che rendono il mondo interessante..

Nella tradizione c’è una memoria sedimentata che solo la tradizione stessa può tenere “viva”.

𝐃𝐚𝐦𝐚𝐬𝐜𝐨 in #seta, deriva il suo nome dall’omonima città della Siria ed è un tessuto con disegni floreali ad effetto di lucido-opaco, realizzato con filati del medesimo colore utilizzando telai Jacquard.

A Lorsica (Chiavari, GE) ancora oggi la tessitura De Martini, nel solco dell’antica tradizione dei velluti e tessuti serici genovesi, continua a realizzare damaschi come 500 anni fa e racconta la storia di questa antica attività nel museo

A presto.

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Forest Bathing inside foliage

Non vorrei usare l’inglese ma in questo caso leggere il titolo in inglese suona meglio all’udito e crea una emozione.

Ad ogni modo scrivo qui sotto la traduzione del significato che ho percepito io durante questa immersione nell’incontaminata foresta del Liciorno (ripeto la mia è solo la traduzione del mio sentire e non quella ufficiale della traduzione di Forest Bathing.

Eccola; Bagni forestali nella magia della caduta delle foglie in autunno.

Fatta questa premessa prima di postare alcune foto: scrivo il riassunto di quanto emerso da tutti noi :

💚Siamo tornati per qualche ora dentro la Natura, connettendoci profondamente con essa, Camminando lentamente nel suo tappeto di morbide foglie ci siamo sentiti sua parte integrante. Piano piano riscopriamo il nostro vero essere.

… la faggeta, vestita di colori vivaci, ha accolto i nostri respiri, alleggerito i nostri passi e i nostri cuori.

Fuori dai rumori e frastuoni che assorbiamo tutti i giorni ci è stato possibile ascoltare i suoi silenzi e in alcuni di noi si sono ridestati alcuni dei nostri sensi grazie ai suoi delicati profumi di muschio e di foglie, al calore della sua tenue luce, la melodia dell’acqua del suo ruscello

GRAZIE INFINITE DI CUORE a tutti voi 🙏

 

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Regolamento escursioni

9: Regolamento dell’escursione

9.1

Iscrivendosi all’escursione i partecipanti dichiarano di aver letto e accettato il regolamento raduno avente i sotto citati obblighi e i sotto citati consigli.

  1. Rispettare le richieste scritte in locandina come l’orario e il luogo  di ritrovo nonché le attrezzature obbligatorie. I partecipanti non adeguatamente equipaggiati, a giudizio insindacabile della guida, potrebbero essere esclusi dall’escursione anche se già sul luogo di incontro, senza che questo comporti alcun tipo di rimborso. Non passare mai davanti alla guida e nel caso ci fosse un chiudifile mai restare dietro di esso. In caso sia necessario fermarsi per qualsiasi motivo avvisare sempre la guida.
  2. E’ necessario arrivare all’escursione in condizioni psicofisiche e di salute adeguate. Qualsiasi tipo di problema sia fisico  che psichico che possa influire negativamente sullo svolgimento dell’escursione va comunicata preventivamente alla guida possibilmente in fase di iscrizione alla gita e comunque prima dell’inizio dell’escursione.
  3. Rispettare le decisioni prese dalla guida in merito a cambiamenti di programma e/o di percorso.
  4. Non abbandonare e non allontanarsi mai dal gruppo. Chi dovesse abbandonare il gruppo lo fa sotto la sua propria ed esclusiva responsabilità-
  5. Informare la guida al primo manifestarsi di eventuale malessere o cambiamento dell’attrezzatura e per la buona riuscita dell’iniziativa comunicare eventuali difficoltà a rapportarsi con gli altri componenti dell’escursione.
  6. Collaborare con la guida e mantenere un comportamento disciplinato.
  7. Rispettare tutte le persone con cui capita di interagire, le proprietà private e attenersi alle disposizioni impartite dalla guida
  8. in caso di cambiamenti ambientali attenersi alle disposizioni della guida
  9. Non raccogliere fiori, erbe, piante protette. Non disturbare gli animali con rumori, grida e movimenti molesti. Non raccogliere frutti di bosco,  funghi in zone dove esiste  un regolamento sulla raccolta se non già autorizzati.
  10. La guida sconsiglia di mangiare frutti, bacche o altri prodotti del bosco e del sottobosco. Chi lo fa lo fa sotto la sola e propria responsabilità.
  11.  Conservare i propri rifiuti fino agli appositi cassonetti.

Si precisa che ogni partecipante è personalmente responsabile di eventuali comportamenti rischiosi per se e per gli altri, in particolare nel caso in cui dovesse prendere iniziative personali nonostante il parere contrario della guida.

  • Equipaggiamento obbligatorio personale

Abbigliamento “a strati”, pantaloni sempre lunghi da escursione possibilmente di colore chiaro, scarponi da trekking in buone condizioni con protezione della caviglia  e suola scolpita, giacca impermeabile e/o mantellina antipioggia, copricapo, occhiali da sole, crema solare, zaino comodo, pranzo al sacco e scorta di almeno 1,5 litri di acqua.

E’ altamente sconsigliato l’uso di indumenti di cotone a contatto con il corpo. Se possibile indossare capi traspiranti da escursionismo o capi di lana.  E’ consigliabile che  gli scarponi siano anche  in goretex  (materiale resistente alla pioggia). Consigliato oltre il copricapo per il sole anche uno invernale o un foulard di grandi dimensioni, un paio di guanti e i bastoncini da trekking.

In auto e consigliato tenere sempre un ricambio completo.

  • Telefoni cellulari e videogiochi

E’ opportuno evitare di guardare,  e messaggiare  o parlare al telefonino  sia per evitare distrazioni che possono portare a infortuni sia per non disturbare gli altri partecipanti.

Sarebbe opportuno tenere  i telefonini spenti, se è  proprio necessario essere  rintracciabili per motivi personali  è opportuno  tenere  il telefonini in modalità silenzioso o con suoneria a bassissimo volume. In caso sia necessario telefonare l’interessato è pregato di allontanarsi dal gruppo previa comunicazione e autorizzazione della guida rimanendo comunque sempre in vista della stessa.

E’ opportuno evitare di giocare con i videogiochi.

  • Fotografie e riprese video

Durante l’escursione verranno effettuati scatti fotografici e/o riprese video sia dalla guida che da alcuni partecipanti   che potranno comparire su siti di pubblico dominio o su siti promozionali delle attività escursionistiche-ambientali. La partecipazione all’escursione sotto intende il nullaosta alla pubblicazione del suddetto materiale.  Eventuali foto scattate dai partecipanti non vanno fatte in movimento. Il partecipante potrà scattare foto solo se fermo in posizione stabile e sicura da non arrecare danno a se stesso ne agli altri componenti del gruppo.

9.4 Cani

Il Partecipante che voglia partecipare accompagnato dal proprio cane ha l’OBBLIGO, in fase di prenotazione, di comunicare alla guida la presenza dell’animale al seguito, per valutare l’idoneità e le modalità di partecipazione. Sarà a discrezione della guida confermare o meno l’idoneità alla partecipazione del singolo cane o di più cani contemporaneamente, anche in base a taglia, sesso, carattere, e tipologia dell’escursione. NON saranno ammessi animali in calore o che abbiano terminato tale periodo nelle due settimane precedenti all’escursione. Il cane al seguito deve essere docile e facilmente controllabile; il Partecipante dovrà disporre dei mezzi di conduzione e controllo dell’animale necessari a garantirne la corretta partecipazione (guinzaglio e/o museruola o affini). Sarà compito del Partecipante assicurarsi che il proprio cane non arrechi danno o disturbo a cose, persone o animali, che non danneggi la flora, le proprietà private, né gli altri escursionisti. La responsabilità relativa alla conduzione del cane ed eventuali problematiche ad essa connesse, è esclusiva del Partecipante. La mancata comunicazione della partecipazione del cane o la mancata ottemperanza alle disposizioni atte a controllarlo, possono prevedere l’esclusione del Partecipante dall’escursione, anche al momento della partenza.

9.5                Registrazione tracce Gps
Durante le escursioni è consentito l’utilizzo di strumentazione GPS a scopo di orientamento ma partecipando l’accompagnato si impegna a non divulgare le eventuali tracce registrate.

9.6              Classificazione  delle tipologie delle  escursioni proposte: (nella descrizione delle varie escursioni troverete sempre una sigla  che indica il tipo di escursione proposta)

Sigla  T sta per turistica ovvero  facile, poco impegnativa, alla portata di tutti e comunque in buono stato di salute. E’ un itinerario non lungo,  su stradine o larghi sentieri sempre evidenti  e segnalati che non necessita di capacità di orientamento. Non tocca mai quote elevate e i dislivelli sono di solito inferiori ai 500 metri. Richiede una normale preparazione fisica alla camminata e comunque  sempre una buona scorta di acqua e cibo e idoneo equipaggiamento

In queste escursioni  i minori di anni 18 devono essere obbligatoriamente accompagnati da persona garante e responsabile.

Sigla  E sta per escursionistica  ovvero una escursione di media difficoltà che andremo a svolgere  su terreni  non sempre segnalati al piano di calpestio ma ben identificabili in cartografia. In alcuni tratti il sentiero presenterà  una pendenza abbastanza accentuata nella quale sarà necessario prestare attenzione a non scivolare  sopra foglie (soprattutto se il sentiero fosse  bagnato dalla pioggia) e radici di alberi.  Potrebbe esserci la possibilità di attraversare un piccolo guado  senza però alcun pericolo di essere trascinati dalla corrente in caso di caduta. Non sarà necessario l’utilizzo di alcun tipo di corda. Durante questo itinerario  non sarà possibile  approvvigionarsi di acqua ne tantomeno di cibo.

E’ una escursione idonea sia alle famiglie con bambini o anziani.  I partecipanti  devono essere  sufficientemente allenati  alle camminate anche su sentieri leggermente accidentati e scivolosi, non devono soffrire di vertigini e devono essere in ottime condizioni di salute. 

In queste escursioni  i minori di anni 18 devono essere obbligatoriamente accompagnati da persona garante e responsabile.

Sigla EE sta per escursione per escursionisti esperti   Si tratta di itinerari, anche non riportati al suolo o in cartografia, che implicano una capacità di muoversi su terreni particolari. Sentieri o tracce su sentiero impervio e infido (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, o misti di rocce ed erba, o di roccia o detriti). Terreno vario, a quote anche relativamente elevate (pietraie, brevi nevai non ripidi, pendii aperti senza punti di riferimento ecc…). Possono presentare terreni aperti, senza continuità del piano di calpestio, con segnalazioni intermittenti o assenti. Sviluppano in zone poco o nulla antropizzate, dove l’attraversamento di corsi d’acqua può avvenire con guadi che possono presentarsi tecnicamente impegnativi specie dopo piogge abbondanti o in periodo di disgelo, dove è in genere difficoltoso trovare riparo dalle intemperie o chiamare aiuto in caso di infortunio e può non essere facile approvvigionarsi di acqua potabile e cibo e dove la percorrenza dei tratti boscati può implicare il ricorso anche non occasionale a strumenti di taglio a causa dell’intrico del sottobosco e dello stato di abbandono dei sentieri; possono occasionalmente presentare brevi concatenazioni di passaggi, anche esposti, in cui l’escursionista può essere costretto a far ricorso all’uso delle mani per mantenere l’equilibrio durante la progressione, come pure brevi concatenazioni di passaggi attrezzati con scalette e similari. Sono itinerari percorribili solo da escursionisti con buona esperienza, in ottime condizioni fisiche e ben allenati, che non soffrano di vertigini, che conoscano bene l’ambiente di svolgimento ed abbiano un’ottima padronanza delle tecniche di orientamento strumentale (bussola e/o Gps).Rimangono esclusi i percorsi su ghiacchiai, anche se pianeggianti e/o all’apparenza senza crepacci, come pure le vie ferrate, perché il loro attraversamento richiederebbe l’uso di attrezzature e tecniche alpinistiche per la progressione o per proteggere la stessa.

A queste escursioni sono accettati solo maggiorenni con capacità di intendere e di volere.

La quota di partecipazione comprende esclusivamente il servizio di accompagnamento. LA POLIZZA INFORTUNI PERSONALE E’ SEMPRE ESCLUSA DALLA QUOTA DI PARTECIPAZIONE. EVENTUALE POLIZZA INFORTUNI PERSONALE VA RICHIESTA PREVENTIVAMENTE ALL’ISCRIZIONE ALLA ESCURSIONE

SINERGIA FRA EROI.

Praticamente tutti gli abitanti delle colline che sovrastano il tratto di mare tra La spezia e Levanto avevano un pezzo di vigna,  anche se poi non erano viticoltori a tempo pieno. In casa comunque si parlava sempre di vino e fino a una cinquantina di anni fa i nonni o i genitori si portavano nei vigneti anche i bambini  e poi questi ultimi diventati, un pochino più grandi , solo di osservare il lavoro e il territorio circostante imparavano come amarli e curarli .  Oggi alcuni viticoltori, soprattutto i più giovani,  sono ben felici di produrre il vino Doc delle Cinque Terre o il famoso Sciacchetrà  per far conoscere a più persone possibili questa squisita  bevanda color oro.  Alcuni hanno osato di più, e, cercando di essere eroici come gli stessi vitigni  esposti al sole cocente  dei terrazzamenti,  si sono discostati del tutto o in parte  dal produrre solo quelli a marchio unico.  Essi, infatti, a seguito di letture approfondite, tramite un loro senso innato o da segreti  tramandati di generazione in generazione,  hanno deciso di dedicare una parte del loro terrazzamento per produrre (a volte riescono a imbottigliare  veramente pochi litri  ma di alto valore ) qualche bottiglia fuori dagli schemi disposti dal disciplinare e soprattutto fuori dalla tecnologia (anche se in effetti si può parlare solo di piccola tecnologia visto le cantine presenti in quelle strette strisce di terreno adibite a villaggi).  Questa pregiata e rara produzione  la  definirei  CREAZIONE completamente libera ma assai completa. . Trattasi di un vino che ogni volta diverrà diverso  pur nascendo dallo stesso vitigno. Trattasi di un vino il cui risultato di volta in volta dipenderà tutto da come sarà stato bravo il cavallerizzo che si è messo alla prova cavalcando l’onda del suo intuito e osservando meticolosamente ogni minimo cambiamento nel vitigno e nell’ambiente circostante. Nasce infatti tra questo vignaiolo  una sinergia profonda con il  suo vitigno, con i fiori o piante che tengono compagnia ad esso in quel determinato momento,  con il sole, con  il mare , con il vento e  con qualsiasi altro elemento naturale che ogni anno si presenta sempre diverso .  Una bottiglia che dentro  contiene  l’infinito amore che solo l’unione tra  l’uomo e la natura possono offrire.  Una bottiglia che viene difficile stappare.