I FIORI IN LIGURIA

C’erano fiori giorno e notte, per ogni occasione del giorno e della notte. Di giorno spesso venivano usati come omaggi floreali e spesso anche portati in piazza del Ferrari a Genova per ringraziamento di un dono ricevuto o per farsi perdonare un peccato o semplicemente per abbellire la piazza. Di  notte per i balli , per i misteriosi appuntamenti usati  come separè dei caffè alla moda o per i palchi dorati dei teatri. I fiori venivano raccolti in mazzi compatti, li costruivano attorno ad un manico di scopa tenuto in grembo. Girando lentamente il bastone  via via si legavano fiori di qualità e di colore diverso quasi a comporre un tappeto, poi attorno un pizzo e le carnose foglie di nespolo che facevano da supporto, Si levava il bastone, si legavano i gambi ed il mazzo era pronto per far arrossire di gioia o di vergogna qualche timida fanciulla. La coltivazione dei fiori a Genova e in Liguria, c’e sempre stata,  fiori sono nati con l’uomo e forse prima dell’uomo. Ci sono libri del 400 che parlano di invio di rose, di garofani, per esempio ad un matrimonio principesco a Mantova. Le località dove si coltivavano e si raccoglievano era Quarto, la lunga dolce collina distesa sul mare. Ma l’industria è nata quando l’uomo ha imparato a dominare le leggi della natura ed a costruire fiori diversi, scegliendo forma, colore, momento della fioritura. C’è stato un tempo a fine 800 che da Genova partivano camelie per tutta Europa, persino a Mosca. Fiori recisi senza gambo, chiusi raccolti in scatolette di cartone, viaggiavano come sigari a portar gioia alle signore. Intanto a Nizza il poeta francese Karr, un giorno per far cosa bizzarra fa un mazzo di rose e le manda in diligenza a Parigi ad una sua amica, Le rose arrivano bene, sono bell, piacciono. Tutte le amiche chiedono fiori; i primi partono in omaggio e poi si incomincia a venderli. E così nasce a Ponente la grande industria del fiore reciso. Lo stesso Karr un giorno, va dal Santinetto, un agricoltore di Ospedaletti, e gli propone di mettere nelle sue fasce piante di rose, in Paese cominciarono a prenderlo in giro: “O Santinetto o cianta e reuse! . O Santinetto o cianta e reuse !- 

  • “Ma come faccio a piantarle, mi pigliano in giro?” –
  • – “Tu piantale, ci penso io. Quando ci sono i fiori vengo io e me li proto in Francia, Faccio tutto io”.
  • E così è stato. Sono venute le piante, sono venuti i fiori, è venuto Karr a prendere i fiori ed alla fine dell’annata ha dato al Santinetto cento lire. Un biglietto da cento!. Da quelle parti, a quei tempi non ne avevano mai visto. Quel biglietto a fatto il giro del paese. L’anno dopo erano  tutte rose.
  • Se la rosa è la regina della floricultura, il garofano è il re. La coltura è nata con il perfezionamento del garofano rifiorente “Remontan” realizzato nel 1832 a Lione da Dalmè. Fiore ricco, pieno, ma soprattutto forte di gambo e forte di petali che durino brillanti in una casa. Questi garofani hanno trovato il buon terreno, sempre nella spinta del Karr, a Sanremo, dove con ibridazioni pazienti e costanti si è fatto del garofano una industria nazionale, Ti dico una cosa, e vale per tutti i fiori, i coltivatori per avere i fori pronti quando occorre, per esempio a Santi, a Natale, devono opportunamente studiare le potature, Se tu poti a settembre hai fiori a novembre, se tu poti a mezzo settembre hai fiori a Natale, e cosi via. Il tempo di fioritura è dominato dalla potatura.

Mentre a ponente prendeva consistenza la cogitazione del fiore reciso, a Genova e a Nervi nei parchi delle grandi ville signorili, si facevano le prime scoperte sulle piante e sui fiori esotici. A ponente arrivavano i fiori della Francia, a Genova arrivavano via mare dalla Cina, dal Giappone, dall’Africa, e si facevano gli esperimenti. Un giorno un seme messo nella serra dei Pallavicini ha tirato fuori una pianta lunga tre metri con le foglie larghe e robuste che voleva ancora salire, ma la terra era massa, e il giardiniere l’ha portata di fuori. Ha fatto strani fiori e poi frutti dolcissimi, era il padre di tutte le piante di nespole del Giappone che ci sono in Italia e in Europa. Ma la scelta più importante è stata l’orchidea il fiore più affascinante della nostra terra dove nei prati ne trovi centinaia di qualità ma quelle che sono venute dall’ariente nelle sedi dei grandi parchi  nobiliari risultavano più grandi e  quindi più facili da mettere in mostra anche nelle case. Chiavari diventa la capitale delle orchidee. I due terzi della popolazione nazionale viene dalle nostre serre i nostri agricoltori sono all’avanguardia anche per le ibridazioni, hanno ibridi pregevoli registrati al Royal  Orticultural Society di Londra, una specie di banca dei brevetti. C’è chi ha detto i Liguri contadini vista mare, ma questo amore per i fiori è una cosa straordinaria. Qui da noi, e tu lo sai, la terra è poca, lavorarla è fatica, non puoi portare macchine, attrezzature moderne, ed ecco che l’uomo ha scelto il fiore, che non vuole forza fisica ma intelligenza, sagacità: ed ha fatto del fiore e della pianta una grande industria. E sai cosa aggiungo, che se si dovesse parlare di metempsicosi, è un discorso difficile de da grandi, cioè il rinnovare la propria presenza sull’ terra dopo la more, il Ligure, scoperto che il fiore vive una sua vita autonoma, le orchidee hanno già tutte un loro nome , lo sceglierebbero come termine finale d’un possessivo ritorno, Chi non può mangiarne di questa terra,  ne vuol diventarne parte, ne vuol essere seme, per diventare il fiore più bello da ricevere sguardi desiosi e carezze di sole. Quindi quanto tu passi e vedi queste grandi serre coperte di vetri, a volte i vetri sono bianchi di calce perché il sole non passi troppo violento, guardale con attenzione, là sotto la natura compone i suoi disegni più belli, usando colori che poi l’uomo si ingegna a copiare. Ciao.

Tratto dal libro : La LIGURIA IN UN LIBRO  – biblioteca delle regioni 2/84 .

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L’ALBERO  DELLA VITA DEL BAHREIN

L’albero della vita del Bahrein (Shajarat al-.Hayat) è un albero solitario.

Il Bahrein è un minuscolo arcipelago del Golfo Persico, posto fra l’Arabia Saudita e la penisola del Qatar. Questo antico albero, uno dei più misteriosi ed affascinanti conosciuti, alto circa 10 metri, cresce maestosamente su una collina sabbiosa, completamente isolato nel mezzo della zona desertica dell’isola principale del Bahrein. Nonostante questa pianta sia conosciuta da secoli e moltissime siano le leggende che la riguardano, dal punto di vista scientifico si sa pochissimo. I fatti non sono molti. L’albero, il cui nome deriva dalla credenza popolare che si tratti dell’originale albero della vita raccontato nella Genesi – da non confondere con il molto più famoso e gravido di conseguenze per l’umanità  albero della conoscenza del bene e del male – si trova descritto come appartenente a molte specie differenti. Purtroppo non essendoci alcuna pubblicazione scientifica dedicata, le conoscenze su questa pianta che avrebbe, al contrario, tantissimo da insegnare sono poche e spesso confuse.

Fino a non tanto tempo fa, qualunque ricerca si tentasse sull’albero del Bahrein si finiva prima o poi per inceppare in una fantomatica ricerca effettuata in collaborazione con lo Smithsonian, che riportava per questa pianta un’età di circa 500 anni. Non riuscendo a trovare alcuna prova certa riguardante una qualunque pubblicazione dello smithsonian a proposito di questo albero, qualche mese fa mi sono deciso a chiedere lumi direttamente al museo. Sena fortuna. L’impiegata cui mi sono rivolto mi ha gentilmente risposto che non era riuscita a trovare alcuna citazione dell’albero fra le  ricerche effettuate dal museo. Una situazione incerta, quindi e senza fonti sicure cui fare riferimento se non quelle fornite dal governo stesso del Bahrein, in quale, intuito il potenziale, soprattutto turistico, che quest’albero poteva avere, anni fa inizio una affidabile serie di analisi. I risultati di questi studi sono affascinanti quanto le leggende che circondano l’albero. Primo l’età: l’albero sembrerebbe sopravvivere in pieno deserto dalla metà del Cinquecento, il che ne farebbe di gran lunga il decano di tutti gli alberi solitari del mondo e, quindi, quello che meglio è riuscito ad adattarsi alle avverse condizioni del suo ambiente. Secondo , la specie: oggi sappiamo con certezza che l’albero della vita del Bahrein è una Prosopis juliflora, un albero originario del Messico e del Sudamerica, tipico di aree calde, secche e salate dove poche altre specie sono in grado di sopravvivere. Grazie alla sua radice fittonante che può raggiungere profondità incredibili, alle foglioline piccole e composte che permettono di dissipare molto efficacemente il calore in eccesso e di limitare la perdita d’acqua, alla capacità di fissare azoto in virtù della simbiosi che intrattiene con batteri azoto fissatori, e infine grazie alla sua intrinseca capacità di resistere al acqua con alte concentrazioni saline  la sola acqua che eventualmente le sue radici possono trovare ad alta profondità nel suolo del deserto – questo albero è costruito per sopravvivere nelle condizioni più difficili immaginabili per una pianta.

Non basta. Neanche un fuoriclasse dei climi estremi come la Prosopis potrebbe sopravvivere in pieno deserto per cinque secoli senza mettere in atto qualche altro trucco. Nel 2010, il governo del Bahrein iniziò un a campagna di scavi archeologici nella zona immediatamente prospiciente l’albero della vita scoprendo i resti di un villaggio attivo probabilmente fino alla metà del XVIII secolo, provvisto  di un pozzo molti vicino alla sede dell’albero. Questo significava che era stato piantato appositamente lì e che nei secoli, anche dopo il definitivo abbandono del villaggio, era riuscito a seguire con le sue radici profonde la falda. Ecco spiegato da dove proveniva l’acqua che ne permetteva la sopravvivenza.

Rimaneva un ultimo piccolo ma affascinante mistero: come aveva fatto una specie originaria delle Americhe ad arrivare nel  bel mezzo del deserto del Bahrein, dall’altra parte del mondo, soltanto poche decine d’anni dopo la scoperta del continente americano? La via più probabile sembra essere attraverso i portoghesi che conquistarono le isole nel 1521 e vi rimasero fino al 1602, anno in cui l’arcipelago divenne un dominio della Persia. Durante questi anni di dominazione portoghese, delle piante di Prosopis juliflora dovettero arrivare li grazie all’intuizione di qualche botanico  portoghese che ne intuì la possibilità di adattamento in quegli ambienti simili a quelli originari. Di quel nucleo di piante l’albero della vita è l’unico sopravvissuto. Qualunque siano state le peripezie che hanno portato l’albero della vita fino al Bahrein, rimane la straordinaria impresa di questa singola pianta che dalle lontane Americhe è riuscita a svilupparsi e  prosperare conservandosi per mezzo millennio in un ambiente ostile, emblema vivente della capacità di adattamento delle piante e della loro abilità nel risolvere brillantemente anche i problemi più ardui legati alla sopravvivenza.

tratto dal libro: L’incredibile viaggio delle piante di Stefano Mancuso editori Laterza prima edizione 2018

Oggi

Secondo le credenze popolari, l’albero è stato piantato qui nel 1583 per indicare il luogo in cui in origine sorgeva il Paradiso Terrestre. Proprio da questa terra sarebbe prosperato fino ai giorni d’oggi, con tutta la simbologia e il misero che lo avvolgono.

Lo spettacolo che si apre ai migliaia di turisti che giungono fin qui ogni anno, è molto suggestivo e quasi mistico. Oggi un recinto in ferro ne circonda la base, impedendo così ai visitatori di avvicinarsi troppo. Tuttavia, vista la grande estensione dei rami è ancora possibile sedersi sotto la sua ombra e godere della sua frescura.