
La tradizione della Befana. In Liguria, la parola Befana (Bazâra – si pronuncia basâra), ha origine diversa rispetto a quella italiana: in dialetto genovese, significa “vecchia sporca e trasandata”e sembra spenda spunto dalle lingue iberiche dove appunto la può significare “persona sporca e trasandata“„
Non si usava appendere la calza al caminetto, c’era infatti la tradizione della “scarpa in sciö barcon”, vale a dire la scarpa alla finestra. Era usanza lasciare fuori casa – sul pianerottolo, sul balcone, sul davanzale – una scarpa che poi veniva riempita di leccornie:, ma anche castagne secche, mandarini, e tanto altro. E per i più fortunati, i “marenghi d’ou”, le monete di cioccolato. Anche per questo nelle pasticcerie liguri in genere in questo periodo si trovano le scarpette di cioccolato (e non le calze!) ripiene di caramelle, cioccolatini, e altre delizie: sono una riproduzione golosa della “scarpa in sciö barcon”.“


il menu della Befana scorre come una coda delle abbuffate precedenti. Anzi, più è leggero, e meglio appiattirà i sensi di colpa. Invece un secolo o due fa, quando mangiare non era così colpevolmente di moda, a Genova anche il giorno dell’Epifania, dell’apparizione dei Re Magi, vantava una propria ricetta di base. Era la lasagna “gianca” e al pesto a profumare le sale da pranzo. Secondo il detto: «Epifàgna, gianca lasagna». E ogni parola rispondeva a una ragione precisa: «Le lasagne erano “gianche” perché candida era la pasta, ovvero rigorosamente senza uovo, così come vuole l’autentico impasto alla genovese»

Lapasta, quindi, segna il calendario. Perché se all’Epifania la “lasagna gianca” era d’obbligo, la teglia della Befana seguiva una lista di piatti sicuri e certi come il cambio di stagione. A Santo Stefano si pranzava con ravioli di carne e “tuccu”: carne fatta andare per il sugo buono, il brodo dei maccheroni, invece, doveva essere “u broddu cu canta in terza” così come ricordò l’attrice Maria Vietz, a indicare un amalgama di “pittu” (cappone), di magro (muscolo) e di maiale. «Erano tutti piatti combinati con gli avanzi»
Dove poi, non arriva la spiegazione scientifica aleggia la fantasia. «Nelle feste anche all’Epifania veniva cucinato il pesce, senza dimenticare il cappon magro». Ma com’era la ricetta originaria? «Il pesce si mangiava semplicemente bollito. – sostiene Bampi – la dicitura “alla ligure”, ovvero con pomodoro e olive, non è autentica. È dei nostri giorni». Il cappon magro, re di tutte le feste alla genovese, era ed è ricetta complicata, molto nutriente, ma «non ricoperta di gelatina, come spesso accade oggi, e neppure impastata di salsa verde: questa andava messa da parte in modo da non coprire alla sensibilità del palato, gli altri gusti di pesce e verdure».
